Gli Italiani, quei buoni a nulla capaci di tutto. L’hanno già raccontata la loro Italia, l’hanno fatta poesia in miliardi di parole, perché per loro l’Italia è poesia… e poi la vivono come un dramma.
Ma cos’è l’Italia oltre le parole, perché io non so trovarne né di nuove un po’ speciali, né di vecchie emozionanti, perché l’Italia non è quello che dici, ma quello che ti fa sentire, ti fa pulsare, ti fa annusare.
Ed io che su quei tre colori ho fatto un giuramento, sento parlare di diritti chi non ha capito che per far essere italiano bisogna esserne degni, senza atti di disonestà, senza corruzione, quelle cose che tutti noi vorremmo colpite senza pietà, ma che poi accettiamo perché così fan tanti furbi.
Ed allora “lasciatemi cantare, con la chitarra in mano, perché sono un italiano vero”, lasciatemi sognare quel rigore che ci ha donato l’ultimo momento di orgoglio di un popolo diviso, quelle persone che vedevano l’azzurro sopra Berlino, ma anche quel popolo generoso, laborioso quando vuole, che non chiede che lavoro, una casa e di poter curare la salute propria dei propri cari.
Curare, non vendere.
Prendiamo la chitarra in mano prima che altri strumenti suonino note di morte, impariamo a volerci ancora bene, e, se siamo quelli che credono che al paese della città eterna non potrà mai capitare nulla, è perché non ci rendiamo conto di quanto sia pericoloso il rifiuto della realtà.
Non ci sono parole per descrivere come si viveva sotto l’azzurro del cielo d’Italia, lo so, e nemmeno per descrivere come battono i cuori e come ragionano le nostre menti un attimo prima di inventare le Vespa e le Ferrari. Perché l’Italia non sono le parole dei poeti e le canzoni che fanno piangere, l’Italia non è pizza e mandolino. Lo Stivale è quando dal petto in fuori sale il sangue verso qualche area del cervello che abbiamo solo noi, che sogna anche quella pizza e il mandolino di cui il mondo non potrà più fare a meno.
Ed allora è inutile sperare di tornare ai fasti di una volta, se ora siamo figli di un boom del “volemose bene”, di chi ha vissuto e lasciato vivere e vai avanti tu che a me vien da ridere, figli e succubi di quella gente che oggi tradisce le sue radici sane.
No, non basta la canzoncina, non basta questo pezzo, non basta la rima baciata per descrivere ciò che l’Italia è stata e non è più, in un sentimento che non è quello melanconico di chi lascia con rammarico la sua gioventù alle spalle, ma la chiara sensazione che tutto stia cambiando e tutto venga cancellato ed infangato, la memoria, la storia, i principi, la cultura… gli uomini veri.
Niente è stato risparmiato, nemmeno la mamma ed il papà, con i giovani ingannati in un gioco che li stritolerà e nessuno che chiederà loro scusa.
E allora continuiamo a scrive canzoni e poesie sull’Italia, proseguiamo col finto elogio mentre sarebbe più consono uno “schifologio”.
Continuiamo a ricordare quanto fosse grande e di quanto sia ineluttabile la sua rinascita che con questa ordalia al comando mai vi sarà. Una forma più elegante della formula “andrà tutto bene”, ma rimanere in vigile attesa al capezzale della nostra bandiera, senza muovere un dito, non farà bene a niente ed a nessuno.
L’Italia è la terra dei poeti che, finite le parole, hanno poi lasciato il campo ad altre figure mimetiche che, senza mezze misure, l’hanno fatta democratica e libera.
Oggi che i poeti è un po’ che fanno silenzio, entrino in campo gli italiani veri, quelli insostituibili se si vorrà un paese che porti degnamente il nome Italia, e riscrivano la storia.